E' la magia di un rito che si rinnova: il Festival va in scena, tra attualità e ricordi. Come quando Brigitte Bardot mise in subbuglio il carcere della Rocca.
Il caldo dell'estate, il canto dei grilli, i filari di ulivi e di pioppi, la frescura nella penombra di una chiesa antica, tra le colonne chiare di travertino.
Ce n'è abbastanza per innamorarsi del bel paese, in questa Green Umbria sempre presente nei sogni dei turisti stranieri. Ce n'è abbastanza per innamorarsi di una cittadina, Spoleto, col suo duomo incastonato come un gioiello al fondo della scalinata dell'Arringo - il rosone a forma di margherita, il grande mosaico in facciata - e quel sistema incredibile di mura e belvederi, lassù alla Rocca Albornoziana. La città pare davvero progettata come una grande quinta teatrale, una scena aperta nella notte dell'estate umbra.
L'America finalmente vicina
Tutto questo fascino deve averlo sentito Giancarlo Menotti, padre spirituale e creatore del festival nel lontano 1958, in un'Italia che si affacciava col sollievo del dopoguerra al sogno della crescita economica. Menotti, l'artista, il genio, colui che seppe portare, in questo scenario da sogno, il sogno per eccellenza: l'America. Quanto lontana doveva parere allora l'America, con la sua lirica moderna, con Gershwin e Bernstein: non a caso il Festival si chiamò “dei due mondi”, proprio perché l'America sembrava un mondo distinto, a parte, coi suoi artisti rinomati e irrangiungibili. Da Spoleto a Charleston, fortunata città della Carolina del sud sede di un Festival gemellato e parallelo, l'Umbrian style fu davvero la prima chiave moderna a collegare due continenti.
Dubbi e nostalgie
Quanto deve sembrare tutto molto diverso, ora, in cui il mondo è uno, globalizzato, interamente osservabile sul web. Ha ancora senso un'iniziativa come il Festival? Non a caso, l'attuale Direttore del Festival, Giorgio Ferrara, dice che “siamo passati dai Due mondi al Mondo in scena”.Tra anni di splendori e di gestioni difficili, certo non mancano i dubbi, le perplessità, persino le malinconie. Così capita di imbattersi in spoletini nostalgici, incerti sul futuro, scettici nei confronti di un modello di turismo e di mondanità completamente diverso da quello di sessant'anni fa.
E' il caso del signor Giampiero, spoletino doc, che ogni sera guarda con malinconia alla Rocca: “una volta era tutto diverso, lassù era tutta una fiumana di gente, non si riusciva a camminare per strada. All'Hotel dei Duchi si brindava, parlava e ballava fino a notte fonda. Veniva tutta questa gente importante, gli Americani. Le loro mogli impazzivano per l'Italia, erano capaci di stare qui anche un mese, due. Ora è tutto diverso”.
La diva e i galeotti
L'amore per la città natale intenerisce Giampiero, gli richiama alla mente tanti aneddoti che non ha mai dimenticato: “a me da ragazzo aveva colpito Brigitte Bardot, venne qualche giorno negli anni in cui il carcere era ancora lassù alla Rocca. Volle incontrare un detenuto, ci fu clamore nel carcere, tutti parevano in subbuglio. Ma lei, da vera diva, non si scompose, promise al suo ritorno una foto autografata e così fece. Centosettanta foto con l'autografo, una per ogni detenuto, le fece recapitare personalmente”
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Giulia Vittoria Hanke
Un rifugio nella vallata
Gli echi del passato lontano non mancano di farsi sentire anche nella città alta, vicino alle antiche mura. Ce ne parla la giovane Giulia Vittoria Hanke da un luogo simbolo del Festival d'Antan, l'Hotel Gattapone, minuscola struttura alberghiera affacciata su una terrazza panoramica mozzafiato con vista sulla città e sulla vallata del Monteluco.
“Quest'hotel fu voluto fortemente da mio nonno, che, agli inizi degli anni '60, ne acquistò la proprietà per trasformarlo da casa in albergo di sole otto stanze. L'idea pareva folle a chiunque, ma piacque moltissimo a Gian Carlo Menotti che, vedendovi una sorta di buen retiro per i suoi amici artisti, lo trasformò in un luogo simbolo della vita del Festival”.
I cimeli nella piccola struttura, interamente arredata come all'epoca, non mancano: dagli autografi di grandissime personalità, come Toscanini, Bergmann, Ungaretti, Quasimodo, alla poltrona in cui soleva sedere Luchino Visconti.
Vecchie foto all'interno dell'Hotel Gattapone
Vecchie foto e social media
Sospesa tra memorie e progetti, la vita del Gattapone non è solo ricordi e aneddotica. “Grazie al lavoro paziente di mio zio, che tra l'altro ha fatto ampliare la struttura da otto a quindici stanze, io e mio fratello cerchiamo ora di portarne avanti la gestione e di darle un futuro. – spiega Giulia – La gente è affezionata a questo posto, c'è addirittura una pagina Facebook, Amici del Gattapone, che ne sostiene la memoria. Noi facciamo il possibile per andare avanti, anche se ci vuole molto impegno. Il mondo del turismo è cambiato, la gente viene al Festival per lo più durante il weekend e la città non ha il pienone di un tempo. Occorre osservare questi cambiamenti e adattarsi. Io ho studiato fuori dall'Umbria ma sono nata qui e volevo tornare a dare il mio contributo. Questo è un posto troppo bello per restare chiuso al pubblico”.
Giulia sorride, la brezza del pomeriggio muove le rose sulla terrazza. Poco lontano, il poderoso Ponte delle torri sovrasta la vallata, testimone del tempo e di una bellezza di non fugge. Tra passato e futuro, la verde Umbria ha ancora tesori da donare agli artisti di tutti i mondi possibili.